A un passo dall’abisso

Boko Haram voleva annientare la sua esistenza, l’esistenza di Catherine Ibrahim, nigeriana cristiana. I malefici terroristi assassinarono suo marito, ferirono lei, lasciandola per morta, sottoposero i suoi bambini a un lavaggio di cervello islamista. Catherine, tuttavia, non si arrese.

Catherine Ibrahim è sopravvissuta al terrore di Boko Haram (csi)

Maiduguri è una metropoli caotica nel nord-est del paese. Ripetutamente presa di miro da attentati terroristi, l’esercito nigeriano fa del suo meglio per proteggerla da Boko Haram.

In questa situazione precaria, Franco Majok, responsabile dei progetti CSI nel paese, visitò la città. In un campo profugo della chiesa cattolica incontrò la vedova Catherine Ibrahim. La quarantunenne ha lenito sofferenze indicibili, inoltre non può praticamente più muovere uno dei bracci. Accettò però di condividere con me quanto vissuto.

Concordia tra cristiani e musulmani

Catherine e sua famiglia vivevano a Warabe, un paesino vicino alla frontiera col Camerun, una vita tranquilla. Era per lei importantissimo inviare i figli a scuola. I rapporti con gli abitanti musulmani erano buoni e rispettosi. “I musulmani festeggiavano Natale con noi, noi li visitavamo per la festa di fine Ramadan”, si ricorda.

La situazione mutò di colpo quando si ebbe voce di combattenti di Boko Haram nascosti nei dintorni. Difatti questi si erano messo all’agguato nella boscaglia fuori dal villaggio, uccidendo sul posto uomini cristiani che passavano di lì, e pestando brutalmente le donne che raccoglievano legna. “Ci minacciarono, dicendoci di non tornare più”, spiega Catherine. I cristiani, impauriti, non sapevano dove trovare aiuto.

Attacchi mortali

Era ormai chiaro che gli islamisti sarebbero entrati nel villaggio. Difatti, una notte fecero intrusione, massacrando i cristiani e incendiando le loro abitazioni e le chiese. I terroristi entrarono anche nella casa di Catherine e uccisero un fratello e tre nipoti. “Mio padre era venuto a trovarci. Dovette assistere all’assassinio di suo fratello e di tre nipoti. Questo scatenò un attacco cardiaco e la sua morte”, spiega Catherine.

Lei riuscì a fuggire recandosi a Wanabi, un villaggio adiacente dove si trovavano già suo marito Musa e i tre figli. Due settimane più tardi fu assalito una altra località dei dintorni. La famiglia decise allora di fuggire nelle montagne, dove si nascose per tre mesi. Durante un ulteriore attacco di Boko Haram Musa fu ucciso e due figli rapiti.

La madre, disperata, fuggì con un figlio, convinta che gli altri due erano morti. Cominciò allora un’odissea, che portò madre e figlio in un campo per spostati interni nel vicino stato federale di Adamawa. Dopo sei mesi, venne a sapere che l’esercito aveva liberato Warabe. “Decisi di lasciare il campo e di fare ritorno con l’unico figlio rimasto”. Dovette percorrere il tragitto intero a piedi, la circolazione di mezzi motorizzati essendo fortemente limitata per motivi di sicurezza.

Alla ricerca dei figli

Di ritorno a Warabe Catherine apprese che i due figli scomparsi erano in vita ed erano tenuti prigionieri con molti altri bambini in un campo di Boko Haram, dove erano costretti a studiare il Corano. “I conoscenti del paese mi sconsigliarono vivamente di avvicinarmi al campo, perché sarei potuto essere uccisa. Io, tuttavia, non avevo più nulla da perdere…era stato assassinato mio marito, due figli erano prigionieri di Boko Haram. Avrei preferito morire che non fare nulla per tentare di liberarli!”, spiega decisa Catherine.

A sua sorpresa gli jihadisti la lasciarono entrare e vedere i figli. Finse di volere restare con loro.  Una notte, nonostante la paura, scappò con i figli. A piedi, tuttavia, non aveva alcuna possibilità di farcela. Fu presto raggiunta dai terroristi in moto che le strapparono i figli e la pestarono senza pietà. Dopo averle legato mani e piedi, la lasciarono quasi morta per strada.

Quando riprese coscienza, la coraggiosa donna riuscì a trascinarsi nella boscaglia, dove fortunatamente incontrò soldati del governo.  Purtroppo le sue mani erano state legate così strettamente che Catherine perse ogni sensazione in una delle mani. Fu portata dall’esercito a Maiduguri, in un campo profughi cristiano.

Il lungo cammino di ritorno

Per tre lunghi anni Catherine dovette vivere senza i figli. Finalmente l’esercito camerunese liberò i bambini di quel campo e li consegnò all’esercito nigeriano. I figli di Catherine furono portati alla chiesa cattolica di Maiduguri. Una volta ricevuta la liete notizia, Catherine si recò subito lì. Avvistando Daniel e Solomi, la mamma strafelice volle abbracciarli; questi, però, la respinsero gridando “Allah u Akbar”! Avevano subito un lavaggio di cervello islamista e si chiamavano ora Musa e Yagana.

Catherine, tuttavia, non si arrese. Grazie alla sua forte fede e all’aiuto della chiesa i figli tornarono alla loro famiglia e alle loro radici cristiane.

Catherine è felicissima di riavere i figli e di potere mantenere la famiglia.

Reto Baliarda

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